La Scuola di Francoforte
La scuola di Francoforte rappresenta un gruppo di studiosi che indirizzarono i loro sforzi intellettuali, intorno agli anni Trenta, verso i temi della filosofia e della sociologia. Il luogo attorno al quale svilupparono le loro ricerche fu l’Istituto di ricerche sociali, con sede appunto a Francoforte.
L’attività accademica e di ricerca fu momentaneamente interrotta dall’avvento in Germania del nazismo; molti collaboratori si trasferirono dapprima a Parigi, e nel corso della seconda guerra mondiale a New York. Dopo il 1945 molti studiosi fecero ritorno a Francoforte, mentre altri rimasero stabilmente negli Stati Uniti.
Il tema principale, oggetto di studio dell’Istituto, fu quello della cosiddetta “teoria critica della società”. Con questa espressione si indica l’elaborazione intellettuale tesa a criticare l’ideologia capitalistica, evidenziandone le falle interne e con l’intento di offrire modelli d’interpretazione alternativi.
Pur condividendo l’apparato teorico centrale, ognuno degli studiosi appartenenti alla Scuola di Francoforte puntò l’attenzione su aspetti diversi del problema. Ecco i principali esponenti e il loro campo di studi.
Max Horkheimer fu il fondatore dell’Istituto di ricerche sociali presso Francoforte, nonché principale esponente delle “teoria critica”. Con l’avvento del nazismo si trasferì prima a Parigi dove, con la collaborazione di Fromm e Marcuse, redasse gli Studi sull’autorità e la famiglia. In quest’opera sostenne che la famiglia è il luogo sociale in cui si crea e si rafforza il consenso dominante, frutto del capitalismo. Nel periodo statunitense scrisse un altro libro, Eclisse della ragione, in cui criticò la società dominata dalla tecnica. Le teorie elaborate da Horkheimer derivano in parte dalla conoscenza approfondita della teoria marxista e dall’uso della psicanalisi.
Theodor Adorno, come la maggior parte dei suoi colleghi, dovette abbandonare Francoforte in seguito alle politiche repressive naziste, per fuggire prima a Parigi e successivamente a New York. Assieme a Horkheimer scrisse il libro Dialettica dell’Illuminismo. Il pensiero sociologico che perseguì ruotò attorno a tre punti:
- il concetto di razionalità strumentale, ovvero l’abuso degli ideali illuministi da parte del capitalismo, con lo scopo di aumentare il consenso e il controllo sull’uomo;
- l’industria culturale, cioè la sistematica opera di omologazione e appiattimento delle diversità degli uomini, al fine creare bisogni sempre più uguali con l’aiuto indispensabile dei massmedia;
- il mito della personalità autoritaria, riprendendo le idee di Horkheimer, che dà alla famiglia la maggiore responsabilità nella creazione del consenso.
Herbert Marcuse diede un forte impulso alle rivolte studentesche del ’68. Le sue idee muovevano da un’esigenza di affrancamento dall’ordine soffocante della società industriale. Pur partendo da idee marxiste, se ne distacca quasi immediatamente, non condividendo la classica contrapposizione tra borghesia e proletariato (quest’ultimo già ben inserito nella società dei consumi), ma vedendo negli studenti e nei soggetti emarginati gli elementi più eversivi. Tra le sue opere si ricordano Eros e civiltà e L’uomo a una dimensione.
Con Erich Fromm viene interamente trattato il tema della società capitalistica, in rapporto alla personalità dell’individuo, grazie all’uso della psicanalisi. Secondo Fromm, la società attuale non riesce, per sua natura, a soddisfare i naturali bisogni dell’individuo, necessari per la sua realizzazione. Compito della psicanalisi è quello di aiutare il singolo a riconoscere le proprie esigenze e, attraverso la creatività, a realizzare se stesso. Alcune opere da lui scritte sono L’arte di amare, Dalla parte dell’uomo e Avere o essere.
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